Un buon Business Model non basta. Serve anche un buon Management Model.

Modello di management

In un articolo precedente, ho provato a riassumere le caratteristiche di un’azienda vincente e che dura nel tempo. Oggi cercherò di andare più in profondità, portando la vostra attenzione al “dietro le quinte”, al modello di management, il vero “segreto” delle organizzazioni di successo.

Le aziende negli ultimi anni si sono impegnate molto per migliorare il loro orientamento al cliente. Hanno lavorato sul modello di business, cioè sul modo nel quale l’organizzazione realizza valore non solo per gli azionisti o i proprietari, ma anche per gli altri attori in gioco, in particolare i clienti.  E’ stato un passaggio importante che ha permesso a molte aziende di evolvere dall’orientamento al prodotto alla cultura del servizio, per poi passare a soluzioni (composte di diversi prodotti e/o servizi) pensate appositamente per il cliente e approdare all’esperienza (la famosa customer experience) e nei casi più eclatanti, ai significati che un prodotto, un servizio o un’esperienza hanno per il cliente. Il primo ovvio esempio è Apple, capace di trasformare la tecnologia, da oggetto di interesse solo per nerd (o detto all’italiana degli “smanettoni”) in qualcosa di cool. Dalla calcolatrice nel taschino della camicia all’Iphone esibito come un accessorio fashion. Cambia non solo il prodotto, ma anche il significato di ciò che il cliente non solo acquista ma “vive”.

Tutto ciò è importante, ma non basta. Il focus sul cliente rischia di farci concentrare solo sulla “facciata” e di far dimenticare cosa c’è dentro la nostra organizzazione. E’ come se avessimo ristrutturato solo l’esterno di un edificio, senza dedicarci all’interno.

Nei casi meno gravi avremmo semplicemente delle stanze un po’ vecchie, un po’ buie, con qualche mobile da aggiustare: magari il cliente non si accorgerà di nulla, ma i dipendenti dell’azienda sì, e prima o poi questa “scontentezza” si potrà ripercuotere anche nell’approccio al cliente. Nei casi più gravi, invece, l’azienda ha investito tutto sulla ristrutturazione della facciata (facendo felici il suo cliente) e non si è accorta dei problemi strutturali dell’edificio. Il rischio è che crolli tutto (felicità del cliente compresa).

Come evitare che questo accada? Occorre integrare al modello di business un solido modello di management che oriente tutte le scelte relative all’organizzazione e alle persone che ci lavorano.

Management Model Canvas

Il primo passo per migliorare o potenziare il proprio modello manageriale è lavorare sul modello di management attuale. Ogni azienda ne ha uno, magari “implicito”, non scritto da nessuna parte, ma messo in pratica dai leader dell’organizzazione e sperimentato da tutti.

La prima cosa da fare è renderlo esplicito. Può essere fatto in molti modi. Personalmente opero in due modi, entrambi con le proprie specificità: 1) mi affianco all’imprenditore o al manager in veste di consulente e lo aiuto a rendere espliciti i vari aspetti del modello di management della sua azienda; 2) agisco come facilitatore per un gruppo di manager dell’azienda che si confrontano sul modello. La prima modalità essendo one-to-one facilita l’emersione anche di elementi “oscuri”, poco piacevoli, difficili da raccontare in un gruppo non sufficientemente aperto all’ascolto; la seconda invece fa emergere le incongruenze, le differenze di approcci tra capi o aree dell’azienda. Un passo in più che invito a fare ogni capo è quello di confrontarsi sul modello manageriale con i propri collaboratori per capire quanto realmente passa del modello nella gestione quotidiana.

Per fare questo ho costruito uno strumento chiamato Management Model Canvas (MMC), che può integrarsi al “famoso” Business Model Canvas (BMC), dando al manager e all’imprenditore due chiavi di lettura per comprendere e migliorare la performance della propria azienda. Il MMC ha come gli altri canvas, una struttura in blocchi che però interagiscono e si influenzano tra di loro. Ecco i blocchi costitutivi del MMC.

Presa di decisioni 

Le domande fondamentali sono due: 1) Chi prende le decisioni? In alcune aziende il processo decisionale è centralizzato, le decisioni sono nelle mani di pochi (e talvolta di uno solo). In altre aziende invece il processo è decentralizzato, la migliore risposta emerge dall’intelligenza collettiva, e la responsabilizzazione diffusa, tutti sono incoraggiati a prendere decisioni, le competenze per decidere sono disperse nelle varie funzioni, sedi, uffici dell’organizzazione. 2) Dove si prendono le decisioni? Le decisioni si possono prendere al vertice o alla base della piramide organizzativa, al centro (per esempio nella sede centrale) o in periferia (in un punto vendita o in un’unità produttiva); solo all’interno della propria area di responsabilità o anche al di fuori del proprio campo d’azione.

Gli approcci possono anche essere misti. Un’azienda può per esempio avere un processo decisionale molto decentrato nei propri uffici centrali e uno molto gerarchico nelle proprie unità produttive. L’importante è riconoscere con onesto il proprio modello reale. Personalmente ho visto aziende che proclamavano l’autonomia decisionale a tutti i livelli, ma nella pratica accentravano le decisioni nelle alte sfere. E aziende imprenditoriali, dove il proclama “un uomo solo al comando” non viene messo in pratica: le decisioni attese dall’alto non arrivano e i collaboratori vagano nella confusione in attesa di un messaggio dall’alto.

Organizzazione del lavoro

Anche qui la prima domanda è legata al “chi”. Chi organizza il lavoro? Può essere il capo o chi esegue il lavoro. Cosa conta di più in azienda? La tradizione (che può essere il sacrosanto rispetto della “ricetta della nonna”, ma anche l’arcinoto “abbiamo sempre fatto così”), il carisma (“se lo dice lui o lei va fatto”), le procedure (“si fa perché è scritto così”) o il senso di responsabilità (e di autonomia) delle persone?

Occorre interrogarsi sulle regole e sulle procedure: sono chiare? tante o poche? sono molto rigide? hanno valore aggiunto per il cliente o «vivono di vita propria»?

Alcune aziende sono più orientate alla ricerca di ordine e stabilità. La gerarchia ha un ruolo importante. Sono caratterizzate dal forte ruolo dei capi, da periodiche riunioni al vertice, da sistemi orientati al controllo (budget, planning etc.), da job description ben definite. Altre aziende sono più orientate all’auto-organizzazione: le persone e i team si autogestiscono, le regole da seguire sono poche, le riunioni sono convocate solo in caso di necessità, i ruoli non sono fissi ma fluidi, i sistemi sono orientati alle persone, gli individui hanno pertanto spazio discrezionale di azione (su cosa e come deve essere fatto).

Anche qui, come in tutti gli altri moduli, non occorre ragionare in termini di giusto o sbagliato. E’ l’integrazione (o la mancata integrazione) con il modello di business che ci fa capire se stiamo andando o meno nella direzione giusta.

E’ fondamentale in questa fase fare un check-up onesto non solo dell’approccio manageriale, ma anche dell’attitudine delle persone dell’organizzazione: sono responsabili del proprio lavoro? Sono in grado di organizzarlo autonomamente? Il modello di management deve tenere conto delle persone presenti nell’organizzazione, del loro grado di motivazione e di competenza, applicare schemi rigidi a un “fuoriclasse” determinato può essere controproducente, come pretendere l’autogestione da un gruppo di “pulcini” alla prima partita.

Definizione degli obiettivi

La prima domanda è sempre centrata sulle persone: Chi definisce gli obiettivi? Analogamente al precedente blocco del Management Model Canvas, può essere il capo che li definisce oppure chi esegue il lavoro ha la responsabilità di definire gli obiettivi senza ricevere obiettivi dall’alto.

Poi occorre interrogarci sulla natura degli obiettivi: sono individuali, di team o aziendali? sono a breve, medio o a lungo termine? sono operativi e specifici oppure sono macro-obiettivi, sfide in grado di ispirare le persone?

E’ importante anche comprendere a chi ci rivolgiamo nel definire agli obiettivi: agli shareholder (gli azionisti, la proprietà) con un focus sul profitto o agli stakeholder (compresi collaboratori, clienti, comunità, fornitori, ambiente…) in un quadro dove il profitto resta importante, ma il benessere di un attore del sistema non può andare a discapito dell’altro. Ad esempio una riduzione dell’organico aziendale che porta a una riduzione dei costi può essere un ottimo risultato vista alla luce del primo approccio, ma portare a insoddisfazione dei collaboratori (per il maggior carico di lavoro), dei clienti (per tempi di risposta alle richieste aumentato) etc.

Anche per questo “blocco” del Management Model Canvas occorre, a prescindere dall’approccio che si usa (top-down, bottom-up, entrambi) capire il reale impatto sulle persone. Gli obiettivi vengono condivisi? E se ciò accede coinvolgono realmente le persone?

Ciò vale soprattutto per le aziende nelle quali gli obiettivi vengono definiti dall’alto: troppe volte ho sentito persone lamentarsi di obiettivi non assegnati o comunicati troppo in ritardo (in alcuni di questi casi, devo ammetterlo, ero in parte io uno dei responsabili di queste problematiche), spesso gli obiettivi definiti da altri non sono in grado di coinvolgere le persone perché troppo (o poco) sfidanti oppure lontani dalla loro sfera di impatto.  Ma anche quando sono le persone stesse a definire i propri obiettivi ci sono dei rischi: può mancare la condivisione con gli altri (o con le altre aree aziendali) e ognuno finisce per lavorare solo per sé, oppure può capitare che le mete che ognuno fissa per sé siano troppo conservative, poco coinvolgenti.

Coivolgimento delle persone

Siamo così arrivati al tema del coinvolgimento. Qui è fondamentale conoscere le persone dell’organizzazione. Cosa motiva le persone all’interno dell’organizzazione? Elementi materiali (aumenti, promozioni, bonus), sociali (sentirsi parte di un gruppo, riconoscimento, di status…), personali (libertà d’azione, contributo a causa importante, partecipazione, qualità del lavoro…) o mix di tutti questi? Di cosa hanno bisogno? Sentirsi competenti? Essere autonomi? Avere buone relazioni con capi o colleghi? Sono capaci di auto-motivarsi o hanno necessità di stimoli provenienti dall’esterno?

La motivazione delle persone può essere estrinseca, nascere cioè da un riconoscimento esterno per aver fatto un buon lavoro, da premi individuali, benefit economici e differenze di salario, oppure intrinseca, insita nello svolgimento del proprio lavoro e legata alla possibilità di incidere sulla evoluzione dell’organizzazione.

L’obiezione legittima a questo punto potrebbe essere “ma le persone sono tutte diverse, non è possibile che abbiano gli stessi bisogni e motivazioni!”. E’ un punto essenziale. E va indagato con onestà. Bisogna capire se l’azienda è in grado di individuare e soddisfare i bisogni delle persone in modo individualizzato (e se desidera farlo). Alcune aziende, per esempio, danno l’opportunità di scegliere i corsi di formazione in base ai propri bisogni di formazione, altre prevedono percorsi strutturati e uguali per tutti, privilegiando il raggiungimento di competenze aziendali omogenee. Anche qui non esiste il giusto o lo sbagliato, bisogna solo indagare con onestà il proprio modo di operare.

Gestione delle informazioni

Le informazioni, i dati, sono il petrolio dell’era digitale. Questo “blocco” del Management Model Canvas è pertanto fondamentale. Storicamente nelle aziende la riservatezza aveva un ruolo cruciale e pochi detenevano le informazioni, i dati e le informazioni andavano ricercate e spesso “sudate”. Oggi i nuovi sistemi digitali permettono una maggiore accessibilità dei dati. Emergono anche modelli estremi dove regna la trasparenza totale: tutte le informazioni (inclusi dati finanziari e retributivi) sono disponibili per tutti (non solo per chi è dentro l’organizzazione, ma anche per gli stakeholder), in tempo reale e anche nei momenti di crisi. Dove si situa la tua azienda tra i due estremi della riservatezza e della trasparenza assolute?

Qui non si parla solo di informazioni operative e di dati economici. Le persone conoscono la strategia dell’azienda (in particolare il suo scopo e i suoi valori)? Sanno il “perché” del proprio lavoro, come questo contribuisce ai risultati dell’azienda?

Da un lato un maggiore accesso alle informazioni porta a un maggiore coinvolgimento delle persone: hanno informazioni adeguate per agire, assumersi responsabilità, scegliere fra decisioni e azioni; si sentono incluse, rispettate, prese in considerazione. La mancanza di informazioni può portare a costruire quadri della situazione non corrispondenti alla realtà. Ciò spesso accade in situazioni di crisi, quando le aziende (spesso in buona fede) nascondono la dura realtà alle persone, che finiscono poi sorprese di fronte a decisioni drastiche (e totalmente inattese) per il proprio futuro professionale. D’altra parte l’era digitale è anche quella dell’overload di informazioni. L’accesso a tutti i dati non porta immediatamente alla capacità di selezionarli e gestirli. Anche qui, come negli altri “blocchi”, è fondamentale la conoscenza dei propri modelli operativi, ma anche delle risorse umane a disposizione.

Formazione e crescita

Siamo così giunti all’ultimo aspetto, sarei tentato di dire – occupandomi di formazione – “last but not least”, ultimo ma non per importanza. In realtà anche questo è un elemento di indagine. La domanda fondamentale di questo blocco infatti è Quanta importanza ha l’apprendimento per la crescita professionale delle persone e per la crescita dell’azienda?. Non contano le risposte retoriche. Per secoli l’apprendimento professionale (tranne rare eccezioni) ha avuto un ruolo limitato: molti lavori erano manuali e semplici, dopo un iniziale periodo di apprendistato il miglioramento avveniva soprattutto per esperienza. Negli ultimi decenni si parla sempre di più di formazione continua, di longlife learning, di unlearnig (la capacità di dimenticare modelli superati e cercarne di nuovi). Ciò che conta è comprendere il peso e l’efficacia reale che ha la formazione per la crescita della tua azienda e delle persone che ci lavorano.

Una volta stabilito questo punto essenziale possiamo indagare altri aspetti. L’apprendimento e lo sviluppo personale possono essere frutto di una scelta individuale e autonoma del collaboratore o pianificati dall’azienda. L’apprendimento può essere reattivo (risponde agli eventi, come ad esempio la formazione per adeguarsi a una nuova normativa) o proattivo (anticipa gli eventi, come la partecipazione a un workshop sulle tendenze emergenti del proprio settore); può essere concentrato su poche competenze chiave o derivante da più esperienze; focalizzato sulle competenze specialistiche o tecniche o su quelle trasversali. E’ importante anche capire chi ha il ruolo attivo nel processo: chi insegna o chi apprende? un docente o un collaboratore dell’organizzazione?

 

Una volta indagato il proprio modello di management “così com’è”, si può pensare a come farlo evolvere nel proprio modello futuro. Non si tratta di un modello ideale o di un modello desiderato, ma del modello manageriale più in linea con il proprio modello di business e con mappa strategica aziendale, in particolare con lo scopo e i valori dell’organizzazione.

Ti interessa sperimentare o conoscere meglio il Management Model Canvas?Contattami all’indirizzo mail max@massimilianoaramini.it.

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