I sistemi complessi (e quindi anche le aziende) non sono sistemi semplici, ordinati, statici, ma nemmeno sistemi totalmente disordinati e caotici. Si trovano invece all’orlo del caos, in uno stato limite tra ordine e disordine, staticità e cambiamento, creazione e distruzione. Sono soggetti a forti perturbazioni che portano distruzione, ma generano anche discontinuità e quindi innovazione.
È un mondo dove caos e ordine sono elementi complementari, così come lo sono il cambiamento e la stabilità. E non solo. In una certa misura l’ordine si trova nel disordine: dal disordine può nascere un ordine più evoluto del precedente; il disequilibrio può essere fonte di crescita, creatività e di energia rinnovata.
Come si traduce tutto ciò in ambito aziendale?
1. Tradizione e innovazione insieme
La storia di ogni impresa è fatta di stabilità e cambiamento, eppure sembra che questi due elementi non possano andare d’accordo: si aprono conflitti generazionali (il padre “fondatore”, le figure storiche dell’azienda da una parte, figlie e figlie dell’imprenditore e i giovani innovatori dall’altra) e appaiono fantasie magiche o paure terrificanti su ciò che il cambiamento può portare. L’evoluzione delle aziende in crescita è come una spirale, che si allarga sempre di più, esplorando nuovi spazi (l’innovazione, la trasformazione dell’organizzazione), ma ruotando attorno a un punto stabile (la tradizione, le radici dell’azienda).
2. Dis-organizzazione
Un’impresa deve essere organizzata, ma non troppo, avere i processi e le strutture che le permettono di funzionare al meglio e non di più. Ridurre al minimo i livelli gerarchici (ed eliminarli totalmente dove non sono necessari) è importante, ma per fare questo bisogna attuare il decentramento decisionale. Le decisioni vanno prese dove le cose accadono (a stretto contatto con il cliente o con lo sviluppo del prodotto) e vanno introdotti ruoli laterali di coordinamento che fanno da ponte tra i diversi team.
3. Cultura del non equilibrio
Decisioni prese da pochi; pochi conflitti e affrontati in modo “compiacente” per non scontentare nessuno; errore visto come elemento negativo, da evitare se possibile – riducendo quindi il rischio di sbagliare – o almeno da nascondere o da non far notare; un “coraggio” che è presunzione di invulnerabilità e che nasce proprio dall’evitamento dell’errore e del conflitto. La “cultura dell’equilibrio” è molto facile, ma poco sana.
Se vogliamo aziende più sane, c’è bisogno di una cultura manageriale diversa che mantenga il sistema-azienda in uno stato costante di non equilibrio per evolvere e crescere: imprenditorialità diffusa (tutti pensano, tutti decidono, tutti agiscono); apprendere dagli errori; coraggio (che non è incoscienza, ma è voglia di prendersi rischi e di riconoscere le proprie aree di vulnerabilità); valorizzazione del conflitto come luogo dal quale far emergere idee vincenti e risultati migliori.
4. Eco-sistemi
L’azienda, come già detto altrove, vive in un ecosistema di innovazione (fatto di fornitori, concorrenza, clienti etc.) dal quale riceve stimoli continui (a volte molto perturbanti o destabilizzanti). Proprio dagli stimoli più “disruptive”, nascono grandi innovazioni, più grande è la crisi o la rottura di schema, più grande è la trasformazione. È però altrettanto importante che all’interno dell’aziende ci siano gli spazi e le tecnologie (digitali e umane) per sviluppare la creatività di individui e gruppi. Solo in questo modo sarà possibile “estrarre” il meglio dagli stimoli provenienti dall’esterno.