Le 6 caratteristiche delle organizzazioni che hanno successo. E durano nel tempo.

Alcune imprese nascono, crescono velocemente fino ad arrivare a un successo eclatante, quanto effimero. Altre hanno una vita molto più lunga, ma sembrano sempre ai margini per il sistema, sopravvivono più che vivere. Poi ci sono organizzazione che – pur affrontando momenti di crisi anche intensi – restano nel tempo e ottengono grandi risultati.

Quali sono le caratteristiche di queste organizzazioni? In che cosa si differenziano dalle altre aziende?

Velocità

Partiamo dalla prima, non in ordine di importanza (quella ce la teniamo per dopo), ma sicuramente la più citata negli ultimi tempi e forse anche la più controversa, la velocità. Nel mondo della trasformazione digitale questa parola è diventata una sorta di mantra e viene spesso associata alla capacità di sperimentare e di prendere rischi (“Fallisci presto, avrai successo prima” dice il fondatore di IDEO). Nelle quotidianità di molte organizzazioni invece si trasforma spesso in fretta, in un’azione senza pensiero.

La velocità, quella che funziona, non è né moda né fretta, ma è innanzitutto capacità di adattamento. Le organizzazioni sono come essere viventi e quindi devono essere in grado di adattarsi al loro ambiente (mercato, competitor, regole…). Chi non lo fa – lo so è brutto dirlo, ma è così – muore. Chi si adatta meglio e più velocemente ha più possibilità di successo. La velocità è anche agilità. L’organizzazione di successo è flessibile, prende decisioni rapidamente e le mette in pratica altrettanto velocemente. In teoria semplice, in pratica molto meno perché ciò comporta spostamento di persone (con i connessi cambi di lavoro, ufficio, città, nazione… vita), snellimento di processi (che toccano abitudini consolidate), adozione di tecnologie nuove (abbandonando investimenti onerosi fatti in passato) e rivoluzione delle strutture organizzative (che riducono livelli gerarchici e ruoli dirigenziali spesso rassicuranti non solo per chi li ricopre, ma anche per i loro collaboratori).

Energia

Per animare tutto questo movimento ci vuole qualcosa che sia in grado di animare le persone e l’organizzazione. Alcuni parlano di ambizione, io preferisco parlare di energia. Un’energia di una specie particolare, un’energia finalizzata. Le aziende di successo sono animante da un processo di crescita che dall’interno va verso l’esterno. Può nascere dall’ambizione del fondatore dell’impresa o di una sua figura chiave, ma riguarda l’organizzazione nel suo complesso non i bisogni egoistici di una persona. E’ la spinta a creare qualcosa di diverso, di nuovo, di unico. Si diffonde per tutta l’organizzazione attraverso sfide coinvolgenti: obiettivi concreti, focalizzati, chiari, capaci di trasmettere energia alle persone. Richiede autonomia e imprenditorialità in tutti i membri dell’organizzazione. E’ un’energia che libera e realizza il potenziale umano all’interno dell’organizzazione.

Coinvolgimento

Siamo così arrivati al terzo fattore chiave. Quello che molto spesso viene chiamato “engagement”, sottolineando l’aspetto strumentale: c’è qualcuno che “ingaggia” (imprenditore, CEO, HR…) e qualcuno che viene “ingaggiato” o si fa “ingaggiare”. Il coinvolgimento che funziona è diverso: è organico, è frutto di un processo che si instaura nel tempo (non basta una convention di un paio d’ore o un video motivazionale). Il coinvolgimento è un processo che si basa su due aspetti fondamentali. Il primo è la comunità: c’è coinvolgimento quando c’è coesione, dialogo e forte senso di identità aziendale. La comunità non nasce da sola, anch’essa si crea nel tempo ed è il risultato di scelte consapevoli come, ad esempio, privilegiare le carriere a crescita interna rispetto alla selezione dall’esterno delle figure chiave. Il secondo aspetto, che apparentemente sembra in contrasto con il precedente, è il rigore: standard elevati per tutti, scegliere le persone giuste, agire quando una persona va sostituita, concentrare le persone migliori sulle opportunità migliori, affrontare la cruda realtà dei fatti, raccontando sempre e subito le cose come stanno.

Comunità e rigore devono sempre stare in equilibrio. Ci vogliono il “calore di casa” e le “regole della casa”. Un ambiente che accoglie tutti i membri dell’organizzazione, ma che sa premiare chi lo merita più degli altri. Un’organizzazione veramente coinvolgente mette prima il “chi” (le persone) del “cosa” fa (prodotti o servizi).

Architettura

Arriviamo alla quarta caratteristica che è complementare alla precedente. Un’organizzazione efficace ha bisogno di persone coinvolte, ma anche di una struttura funzionale. Le prime fasi della trasformazione digitale hanno portato a una grossa enfasi sul rapporto con il cliente, sul facilitare la comunicazione tra azienda e consumatori/utenti. Molte organizzazioni hanno lavorato bene su questi aspetti, dimenticando però di aggiornare anche l’architettura interna dell’azienda ai cambiamenti nelle modalità di dialogo con l’esterno. L’immagine che mi viene in mente è quella dei set cinematografici dei film western: dietro alla facciata del saloon non c’erano il bancone, birra a fiumi e cowboy assetati, ma solo terreno brullo e qualche sterpaglia. Allo stesso modo capita di imbattersi in aziende centrate sul consumatore e con interfacce cliente avveniristiche, che però internamente sono imballate da burocrazia, lentezza e scartoffie.

L’azienda di successo invece – per supportare al meglio idee e strategie – ha bisogno di sistemi organizzativi (strutture, strutture, processi, politiche, strumenti) efficaci e di una vera e propria cultura della disciplina: libertà, autonomia e responsabilità vengono esercitati nell’ambito dello scopo (o missione) e della visione dell’organizzazione, i valori vengono applicati dalle persone nel loro lavoro quotidiano. Per funzionare bene, quindi, ci vogliono una struttura organizzativa (fisica e digitale) e una umana (mentale e intenzionale).

Scopo

Ora veniamo alla caratteristica fondamentale delle organizzazioni di successo, la capacità di distinguersi, la sua unicità. Le organizzazioni vincenti hanno almeno uno, ma più spesso due, tre o addirittura tutti e quattro questi elementi: un prodotto/posizionamento nel mercato chiaramente distintivo (esempio banale, il primo iPhone di Apple), un modello organizzativo di particolare efficacia (come il modello produttivo e logistico di Zara), una leadership di qualità (anche in Italia abbiamo avuto leader eccellenti, ad esempio Adriano Olivetti) e il valore aggiunto alle attività. Per quest’ultimo elemento, vi propongo un esempio non aziendale, ma immediatamente traducibile: il valore che una grande orchestra sinfonica che esegue un brano classico – un modello organizzativo standard e un prodotto con un posizionamento non distintivo sul mercato – che trasforma l’esecuzione in qualcosa di valore inestimabile per chi l’ascolta.

Questa unicità si traduce in due comportamenti apparentemente antitetici: concentrazione (l’azienda si focalizza su ciò che sa fare meglio di tutti) e sperimentazione (l’azienda esplora per estendere i confini del proprio business).

Ma cosa c’è alla base dell’unicità di un’organizzazione? E’ qualcosa che viene prima di ogni attività o processo, prodotto o servizio. Qualcosa di più importante. Non è il profitto, che è solo la condizione (sia pure necessaria) per la sopravvivenza dell’azienda, ma non il motivo per la quale l’azienda vive, la sua ragione d’essere. Questo qualcosa assume diversi nomi, io l’ho chiamato scopo, altri lo chiamano proposito evolutivo, altri ancora “massive transformative purpose”. E’ il perché dell’azienda, ma al tempo stesso il chi, la sua identità profonda, aspetti che vanno oltre il cosa fa l’organizzazione e il come lo fa. E’ l’anima dell’organizzazione che però per realizzarsi deve essere incarnata, trovare corpo nei comportamenti quotidiani degli individui, dei team e delle reti di relazioni da cui è formata.

Esecuzione

E così arriviamo all’ultima caratteristica, quella che siamo abituati a chiamare in inglese “execution”. Forse la più particolare. Senza le altre cinque non serve a nulla: una pessima canzone anche se eseguita da un grande interprete resta comunque brutta anche se cantata benissimo. Ma le altre cinque senza esecuzione sono vuote: la velocità resta fine a se stessa, l’energia non si trasforma, il coinvolgimento resta solo entusiasmo, l’architettura non è abitata e lo scopo resta sulla carta, nelle teste o nei cuori di imprenditori e manager, ma comunque non realizzato. L’esecuzione è propensione all’azione. Solo chi fa può capire, riflettere e migliorare. L’intelligenza aziendale è concreta, radicata nel fare (bene). Il successo di un’impresa e la sua durata dipendono dall’integrazione vitale di testa (pensiero, idee, curiosità nel guardare il mondo), cuore (passione, empatia, connessione con colleghi e clienti) e mani (volontà, intenzione e azioni concrete).

Nota. Le idee cui proposte sono frutto della mia esperienza di lavoro dentro e con le organizzazioni e ispirate dall’ottimo lavoro svolto dai professori della LIUC Elena Fosca e Vittoria D’Amato che hanno studiato la letteratura sulle aziende di successo ed estrapolato i fattori chiave. Per chi fosse interessato ad approfondire, vi consiglio il loro libro Pensiero sistemico e Management Innovation. La fotografia raffigura il Castello di Brolio, sede dell’azienda vinicola Ricasoli, fondata nel 1141 e tutt’ora attiva, una delle imprese più antiche al mondo.

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